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Manutenzione
Questo sito è compreso di forum nel quale un tecnico con oltre 30 anni di esperienza nella costruzione, allestimento e manutenzione delle barche,  risponde alle tue domande per aiutarti a risolvere i problemi in materia.
 
 
Cura radicale dell’osmosi:

Prima parte:

Il periodo migliore per fare l’intervento, peraltro molto lungo nel tempo è senza dubbio in Autunno-Inverno, con la previsione di finire il lavoro all’inizio o massimo a metà Primavera, quando arriverà il tempo ideale per la lavorazione dei prodotti da utilizzare, altrimenti l’ideale sarebbe all’interno di un capannone e in ambiente riscaldato; (utopia).

Consideriamo che la nostra barca sia stata alata, lavata molto bene con l’idropulitrice e messa al riparo da eventuali piogge e dall’umidità della notte. L’ideale è all’interno di un capannone, dove vi siano le giuste condizioni per tutto il periodo del lavoro. Purtroppo, almeno la metà degli interventi effettuati per il trattamento contro l’osmosi, non rispecchia le condizioni ottimali. Solo con la buona volontà dell’armatore (quando competente) o l’impegno di chi esegue il lavoro si ottengono ottimi risultati finali.

Prima di eseguire qualsiasi tipo di lavorazione su imbarcazioni in vetroresina è bene fare tutti i controlli, sia visivi sia con lo “SKINDER”, strumento per accertare lo stato d’umidità dello scafo. La presenza d’umidità, infatti, vanificherebbe qualsiasi buon intervento di ristrutturazione o riparazione poiché la presenza di umidità nello scafo, col tempo potrebbe pregiudicare il ciclo di stuccatura, resinatura e finitura. Allora l’uso dello strumento di rilevazione per l’umidità “SKINDER” nella prima fase dell’intervento, diventa indispensabile ad assicurare una buona riuscita dei lavori.

Protezione dello scafo e pulizia della sentina con un lavaggio profondo, usando un potente sgrassante, lasciandolo agire per qualche giorno, affinché ripulisca bene la sentina. Risciacqueremo bene e asciugheremo perfettamente in modo che l’umidità non rimanga all’interno di possibili crepe.

Smontiamo tutti gli scarichi, prese a mare, comprese le guarnizioni dei fori sullo scafo. Sono dei punti in cui si può rilevare umidità, dato dalla mancanza di protezione iniziale da parte del cantiere nella testa dei fori. Questo non deve spaventare perché solitamente non riesce ad avanzare più di qualche millimetro. Basterà far asciugare perfettamente e impregnare bene tutt’intorno con resina epossidica in più mani.

Asportiamo il gelcoat dalla carena avendo cura, nelle zone sospette, di essere maggiormente energici. E’ un lavoro piuttosto professionale che può essere fatto in diversi metodi, a cominciare dalla sabbiatura, che sarebbe meglio affidare a una ditta specializzata sulle carene. Non potendo, o volendo intervenire con la sabbiatura, possiamo asportare tutto il gelcoat e l’eventuale parte marcia della stratificazione, che avrà perso la resistenza strutturale dello scafo, con uno smeriglietto a disco morbido con grana 40. E’ un lavoro in cui s’impiega molto tempo, è pesante e sporco da fare; bisogna proteggersi bene con le apposite tutine e maschera con filtro per le polveri nocive della vetroresina.

Un metodo altrettanto valido, meno faticoso e più rapido è quello con l’uso del cosiddetto “carro armato”, che col suo nastro s’è usato bene, è molto efficace e lascia la parte trattata molto livellata. L’unica cosa è che con quest’attrezzo bisogna usare un nastro di grana più fine rispetto allo smeriglio, cioè da 60. Ultimo sistema, ma non per questo meno efficace, è l’uso di una pialletta elettrica, con le lame regolate con poca sporgenza esegue l’asportazione del gelcoat in un solo passaggio, aprendo le bolle di osmosi in rilievo lasciando la carena ben pulita. Dopo sarebbe meglio dare una mano d’idrosabbiatura che assicurerebbe la perfetta pulizia della carena. In mancanza di questa, si userà la normalissima idropulitrice che toglierà comunque tutta la sporcizia della precedente lavorazione.

Il gelcoat va asportato fino a 7-8 cm sopra la linea di galleggiamento, compreso il bulbo, se questa è a vela. Operando in questo modo, si asporterà anche eventuale parte malata della stratificazione dove il poliestere avrà perso la consistenza strutturale che al passaggio della sabbiatura frantumerà la parte marcia.

Tutte queste operazioni sono piuttosto impegnative e professionali, ma non escludo che possa farlo qualsiasi armatore che abbia un’adeguata manualità.

Seconda fase:

A questo punto iniziamo a predisporre tutti gli strumenti per la deumidificazione dello scafo. Se la barca sosta in ambiente esterno, si prepara la così detta gonnellina di nylon intorno alla carena mettendo all’interno un deumidificatore, se si useranno le lampade al quarzo riscaldanti, l’umidità sarà eliminata in minor tempo.

Nel periodo in cui abbiamo gli strumenti accesi per la deumidificazione, ogni 8-10 giorni, dobbiamo fare un lavaggio molto energetico e completo alla carena con l’idropulitrice, possibilmente ad acqua calda, in modo da ripulirla in profondità, perché il liquido osmotico si scioglie solamente con l’acqua, specie se calda. Qualcuno si chiederà: così la carena non si asciugherà mai?!, invece è proprio il contrario: Nella fase di deumidificazione evapora solamente acqua distillata, mentre i sali e le sostanze acide rimangono in superficie. Il liquido osmotico tarda ad asciugarsi molto più che l’acqua dolce, oltretutto, spruzzando acqua ad alta pressione agirà più in profondità. E’ molto importante nel primo periodo della deumidificazione perché scioglierà anche le formazioni cristalline che risiedono all’interno.

Ogni tanto possiamo fare un controllo dell’umidità con lo Skinder per renderci conto dell’andamento della deumidificazione. Quando i valori saranno come quelli sopra la linea di galleggiamento, cioè, intorno allo 0,8-1%, sarà terminata la fase più importante del nostro lavoro. A questo punto se il tempo meteorologico lo permette, laveremo per l’ultima volta e in poche ore asciugherà la carena sarà nuovamente asciutta. Un ultimo controllo con lo skinder e se i dati corrispondono, possiamo iniziare a stendere il trattamento.

Terza fase:

Prima di tutto dobbiamo pulire perfettamente dall’eventuale polvere o grasso tutta la superficie della carena, possibilmente usando un panno antistatico e provando ad attaccare uno spezzone di nastro da pacchi per verificare la perfetta aderenza alla resina.

E’ il momento di cominciare con i crateri.

Prepariamo la resina epossidica (quanto basta) per bagnare tutti i crateri fino all’esterno, bagniamo con un pennello battendo di punta per impregnare bene il tessuto, dopo di ché prepariamo ancora della resina epossidica per stenderla in tutto lo scafo. Applichiamo la prima mano a rullo o a pennello fino all’altezza in cui abbiamo asportato il gelcoat e lasciamo asciugare per circa 2-3 ore. Altra preparazione di resina epossidica e stendiamo la seconda mano. Dopo ancora un paio d’ore, quando la resina al tatto è ancora appiccicosa, riempire i tutti i crateri di stucco epossidico a essicazione rapida usando una spatola a manico lungo per stenderlo meglio; oppure prepararlo con resina epox e addensante o microfibre naturali per stucchi in verticale.

A essicazione completa, che avverrà dopo 24 ore circa, levighiamo leggermente con carta ad acqua di grana 120-150 tutti i crateri per ripianare le stuccature; dopo passeremo su tutta la carena una mano di spugna ruvida (Scotch Brite) ad acqua per togliere l’eventuale untuosità della resina e rendendola opaca. Finiamo questo primo lavoro con un’altra mano di resina epox.

Ogni qualvolta stendiamo la resina epox, se non operiamo entro qualche ora dall’applicazione, siamo costretti a passare lo Scotch Brite ad acqua per opacizzare tutta la parte.

Quarta fase:

E’ arrivato il momento di dare la prima mano di stucco epox Nautilus Light Filler (cecchi) usando una spatola dentata in modo da essere sicuri di formare uno spessore uniforme in tutto lo scafo. Ho visto diverse volte fare questo lavoro da personale poco professionale, anziché stendere lo stucco con la spatola dentata, lo faceva con quella liscia; come poteva pretendere di dare uno strato uniforme in tutto lo scafo?. Probabilmente non lo sapeva nemmeno, e dire ch’è molto più semplice dare la prima mano con quella dentata!.

Lasciamo asciugare per 12-24 ore circa, poi daremo una carteggiata per togliere tutte le imperfezioni formatasi con la stesura dello stucco. Dopo un’ottima spolverata seguirà un’altra stuccatura con una spatola liscia per rasare la precedente fatta con quella dentata. A questo punto avremo raggiunto uno strato completo su tutto lo scafo. Daremo una leggerissima levigata per togliere qualche imperfezione della stuccatura per poi rispolverare completamente.

Quinta fase:

Stendere 3 o 4 mani, meglio a rullo, di resina epox in sequenza di un paio d’ore l’una dall’altra, oppure carteggiare. Dopo la prima mano è meglio additivare la resina con A 20 MICROSHIELDS - ADDITIVO ANTIOSMOSI. E’ una polvere nera, a base di grafite, da aggiungere in proporzione del 20% sulla resina C-systems 10 10 Classic, C-systems 10 10 CFS o C-systems 10 2, per aumentarne ulteriormente la resistenza ai graffi ed essere meno permeabile all’acqua perché idrorepellente. Questo particolare serve per riuscire a stendere sulla carena, la quantità ideale di resina consigliato dai produttori per un perfetto trattamento antiosmosi.

Sesta e ultima fase:

A questo punto avremmo anche finito la cura dell’osmosi alla nostra barca, rimane solamente da dare l’antivegetativa direttamente sopra la resina epossidica. Per non avere la carena del colore trasparente della resina epossidica, possiamo stendere 2 mani di primer epossidico bianco, (va benissimo Nautilus Epoxy Primer della Cecchi), sempre rispettando i tempi di sovrapposizione.  

Io personalmente la consiglio per diversi motivi:

1°) Intanto ritorna bianca come lo era prima e non rimane brutta da vedere con la resina a vista, anche se poi avrà l’antivegetativa.

2°) Il motivo più importante però è il fatto di avere sempre sott’occhio lo stato di consumo della carena quando facciamo la manutenzione. In pratica quando levighiamo lo scafo, togliendo l’antivegetativa abbiamo sotto gli occhi, il bianco e quindi il limite oltre il quale non dobbiamo raschiare. Mentre senza il bianco, asportando l’antivegetativa troviamo direttamente lo strato trasparente della resina, col rischio di consumarne (sicuro) gli strati senza rendercene conto. Oltretutto questo primer possiamo applicarlo anche sulle parti metalliche come, asse e supporti, timone, elica, eventuali flaps presenti nelle barche a motore.

Se proprio non vogliamo fare quest’ultimo lavoro e vogliamo terminare così, consiglio vivamente di dare 3 mani di antivegetativa; la prima mano va data di diverso colore delle due successive, in tal modo abbiamo creato ciò di cui si è parlato nel punto precedente, cioè, levighiamo sino a quando non avvistiamo quella di diverso colore. Ovviamente succederà che consumeremo in certe zone anche l’antivegetativa del primo strato, ma quando ricominceremo a stendere la nuova, prima di tutto faremo i ritocchi con quella del primo strato, affinché rimanga sempre visibile il limite oltre il quale non possiamo levigare.

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